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Dobbiamo immaginare il domani
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Dobbiamo immaginare il domani

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(Immagine: pixabay.com)

L’ Institute for the future di Palo Alto (California) non è un luogo qualsiasi. Alcune delle menti contemporanee più visionarie osservano, studiano e cercano di interpretare il futuro per due motivi principali: cercare di assecondarne le necessità e prendere, oggi, le migliori decisioni possibili.

Non è un affare da poco perché, come spesso dice Ramez Naam nei suoi interventi, “le leggi del futuro non si basano sui fatti, ma sulle narrazioni“. Concetto semplice che nasconde difficoltà e insidie: il fatto di non sapere cosa accadrà non è un handicap, è l’occasione per scrivere il futuro.

In estrema sintesi, ciò che sarà lo decidiamo noi oggi. Come? Nel modo più evocativo possibile: immaginandolo, raccontandolo e vivendolo a piccoli passi. E non c’è nulla di nuovo o inarrivabile in tutto ciò, al contrario, questa vocazione innata a creare ciò che sarà è la più ampia propaggine delle discipline esoteriche orientali del quinto secolo avanti Cristo, figlia del confucianesimo che consiglia di non guardare quanto sia irta e lunga la scala, ma di fare il primo gradino.

Non abbiamo scelta, perché il futuro arriva anche se cerchiamo di evitarlo, abbiamo però la possibilità (meglio se consapevole) di renderci partecipi nella sua creazione.

[pullquote]”Le leggi del futuro non si basano sui fatti, ma sulle narrazioni” Ramez Naam[/pullquote]

E, sia chiaro, non si parla (solo) di partecipazione in senso politico ma di partecipazione sociale, integrazione, lungimiranza e volontà di non vivere alla giornata, di non pianificare il domani ma, in modo molto più naturale, di pensare al benessere dei nostri nipoti. Un benessere che andrà costruito giorno per giorno, sì, ma avendo bene impresso l’obiettivo a tendere, che non si realizzerà mai perché siamo parte integrante e non i titoli di coda del progetto che dobbiamo realizzare.

A questo si lega un altro concetto diffuso e naturale, che ha mandato definitivamente in pensione il meccanicismo cartesiano. Un pensiero che ha cambiato il mondo il quale, da sistema chiuso e organico, è stato osservato come macchina, in cui ogni singolo pezzo è connesso. Una macchina che funziona solo se tutti gli ingranaggi (fisici, biologici, teorici, quantistici, astronomici, matematici, …) sono operativi e interconnessi.

Questi sono gli elementi da cui partire. Futuro da scrivere partecipando attivamente, tutto è connesso e i percorsi non sono mai definitivi.

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(Immagine: pixabay.com)

La teoria generale dei sistemi, di cui Ludwig von Bertalanffy è stato uno dei capostipiti, ha posto le proprie basi sulle intuizioni ma traendo ispirazione da maestri antecedenti, tra i quali anche il medico (e poeta) svizzero Albrecht von Haller (siamo nel 18esimo secolo) che ha scoperto l’irritabilità delle fibre muscolari, diffondendo così l’idea che il corpo è esso stesso una macchina.

Ora abbiamo un elemento in più: il futuro lo si costruisce con l’avanzare della conoscenza, della tecnologia e delle intuizioni (quindi dell’immaginazione e della fantasia).

Questa la strada per il cambiamento, per la preparazione di un futuro degno.

C’è qualcuno che si sente pronto?

Chi invece sente l’esigenza di una politica più aderente alla realtà e di media più puntuali nel descrivere, raccontare e immaginare? Chi sente di essere al centro di un secolo buio, di una corsa isterica che non porta da nessuna parte?  Chi si sente tarpato e impotente davanti a decisioni che non ha preso e che non condivide? Tocca a questi, prima di ogni altro, partecipare attivamente.