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Russiagate, camera e senato Usa ascoltano Facebook, Google e Twitter
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Russiagate, camera e senato Usa ascoltano Facebook, Google e Twitter

Oggi 2 novembre è il secondo giorno di audizioni per Facebook, Google e Twitter sul “Russiagate“. Durante la giornata di ieri i rappresentanti legali di tutte le 3 aziende hanno riconosciuto, davanti a un’apposita sottocommissione giustizia del senato che, account in qualche modo legati alla Russia, hanno svolto attività di disturbo a partire dal 2015 e hanno continuato a farle anche dopo l’elezione di Donald Trump (che il prossimo 8 novembre festeggerà un anno dalle elezioni) con l’obiettivo di dividere l’opinione pubblica.

Il dito puntato contro Facebook
Come prevedibile, per numero di utenti e per diffusione, Facebook è stato il social media più incalzato dalla commissione. Il senatore repubblicano John Kennedy ha chiesto al rappresentante legale di Menlo Park, Colin Stretch, quali mezzi ha l’azienda per controllare i 5 milioni di inserzionisti, quali informazioni ha su di loro al momento attuale, invitando Stretch a non concentrarsi sulle misure future. Il senatore democratico Al Franken ha voluto sapere come Facebook avesse potuto accettare inserzioni della Internet Research Agency, notoriamente vicina a Mosca, senza farsi domande.

[Tweet “Il mercato delle inserzioni online è in crescita del 16% rispetto al 2016”]

La domanda che unisce tutti
La sottocommissione del senato ha chiesto alle tre aziende di spiegare i motivi per cui non hanno subito legato alla Russia le inserzioni pagate in Rubli.

La risposta di Facebook
La posizione di Zuckerberg è nota e ha mostrato con i fatti di volere collaborare alle indagini. Dopo avere preso atto delle inserzioni di disturbo pubblicate su Facebook ne ha messe 3.000 a disposizione degli inquirenti, comunicando anche che hanno raggiunto 126 milioni di utenti. Sibillina la considerazione del ceo che ha fatto notare come gli investimenti per impedire episodi simili in futuro avranno una ricaduta sulla redditività, lanciando così un monito al Nasdaq (dove sta guadagnando l’1,44%) e agli inserzionisti.

Cosa succederà ora?
La risposta può sembrare scontata ma non per questo falsa. Non si può dire ancora ma è poco probabile che dalle camere americane escano leggi in grado di stravolgere il mercato delle inserzioni online, che quest’anno dovrebbe fatturare 83 miliardi di dollari, in crescita del 16% rispetto al 2016, così come stimato dal Wall Street Journal.

Di fatto un pacchetto di regole restrittive cozzerebbe contro il liberismo americano, anche se appare evidente che qualche correttivo verrà applicato.