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I lavori di domani
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i lavori di domani

I lavori di domani

Ogni popolo ha a cuore principalmente tre temi: lavoro, sicurezza e territorio.

Tutti i cittadini attendono risposte. I giovani devono essere guidati verso i profondi cambiamenti di quest’epoca e i meno giovani, genitori in primis, hanno la necessità di sapere che per i propri figli c’è un futuro.

L’economia e il lavoro cambiano con rapidità, una velocità sospinta da sé stessa in rapporto alle nuove tecnologie. Come se l’assetto attuale dell’economia danzasse e si facesse spingere dalla propulsione dell’innovazione.

È innegabile che il progresso cancellerà dei posti di lavoro. Impossibile dire quanti, anche se sedicenti esperti dicono che verranno cancellate il 40% delle professioni attuali (qualcuno arriva persino al 50%) ma, quando si chiede un breve elenco dei lavori che scompariranno, le idee si fanno un pochino meno lucide e decise. Tant’è.

In realtà il lavoro di domani o, se volete, i lavori del futuro, emergeranno dal risultato di un’equazione le cui incognite non sono del tutto chiare. Un esempio su tutti: Watson, la piattaforma di intelligenza artificiale (AI) di IBM esiste e fa enormi progressi. Oggi viene impiegata molto in medicina, perché è in grado di leggere centinaia di migliaia di documenti in tempi brevissimi e di metterne a disposizione i contenuti affinché i medici, tramite una serie di database, possano fare diagnosi sempre più precise. Tuttavia credere che il medico possa essere sostituito dall’AI è dannoso: l’AI non ha quella componente umana che invece il medico deve avere.

Nel 2016 Forbes scriveva che un medico passa più di due terzi del suo tempo a occuparsi di scartoffie e burocrazie, compiti che possono essere demandati ad assistenti virtuali e che oggi, al contrario di quanto si possa credere, non vengono demandati alle infermiere. Casomai a qualche assistente che, però, non cresce come medico ma come impiegato amministrativo. Quindi possiamo dire con discreta certezza che l’intelligenza artificiale sarà utile al medico prima e dopo la diagnosi, cure e rapporti con i pazienti restano sua prerogativa. Il tempo in cui un robot sostituirà l’uomo è ancora molto lontano. Ciò nonostante il futuro non va atteso ma vanno trovate le misure che ci permetteranno di accoglierlo nel migliore modo possibile.

Se è vero che il progresso cancellerà lavori (intesi come posti di lavoro e professioni) è anche vero che ne creerà. Un esempio ci arriva dal passato recente; il webmaster fino a due decenni fa non esisteva, così come non esisteva il social media manager. Oggi ci sono e sono professioni riconosciute, con tanto di categoria professionale e sindacati.

Per quanto possa essere assurdo questa paura del futuro sta già condizionando il mondo del lavoro, congelandolo nelle sue normali rotazioni. Chi ha un impiego se lo tiene stretto, non sapendo appunto cosa gli riserverà il futuro. Per prepararsi al meglio ai cambiamenti servono due cose: investimenti nell’istruzione e un nuovo paradigma politico. Si va verso un futuro in cui studiare e lavorare non sono flussi susseguenti ma accadono nello stesso momento. La robotizzazione, l’automazione delle procedure e l’intelligenza artificiale tendo già a svolgere i compiti ripetitivi, ciò significa che ogni professione dovrà essere svolta dall’uomo con creatività e propensione all’innovazione. Se l’educazione impartita ai nostri giovani non terrà conto dell’innovazione e della creatività, si apriranno squarci di ineguaglianza.

Al di là degli investimenti nella scuola e nella formazione, non ci si può aspettare risposte dalla politica (questo vale per la Svizzera come per l’Italia o la Francia) perché i nuovi approcci allo studio e all’esercizio della professione devono essere sviluppati senza preconcetti e devono guardare alla crescita. Sappiamo bene invece che la politica, negli ultimi 3 decenni, ha invece contribuito a sdoganare la decrescita, ad offrire il peggio della globalizzazione e, un certo tipo di politica almeno, ha contribuito a rinverdire i nazionalismi.

L’unica cosa certa che possiamo affermare oggi è che l’economia (e quindi il lavoro) è orientata alla globalizzazione e in un mondo di mercati uniti e sempre più accessibili, pensare in modo campanilistico è del tutto fuori luogo.

L’esempio è sotto gli occhi di tutti: media, politici e imprenditori di dubbio futuro utilizzano ognuno a proprio piacimento la sparizione delle professioni, causata dal progresso. Qualcuno ne fa persino minaccia. Ora, dobbiamo capire quali professioni verranno create dalla tecnologia e formare i nostri giovani al mondo del lavoro di domani.

Come? Con continue tavole rotonde, continui ponti tra scuola e mondo del lavoro, lasciando da parte la passività con cui la politica sta affrontando il futuro. La scuola va rivoluzionata e, anche in questo caso, ci vogliono scambi tra mondo del lavoro e docenti, tra studenti, lavoratori e tra tecnici (sociologi, psicologi del lavoro). Una sfida difficilissima e affascinante.